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Piacenza e logistica far west: una bomba sociale che va disinnescata

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(foto dalla pagina Facebook di SiCobas Piacenza)

Piacenza vive giorni tribolati. Ieri ha visto la manifestazione nazionale con migliaia di partecipanti a favore dei sindacalisti della logistica arrestati dalla magistratura per accuse pesanti. La giustizia faccia il suo corso. La responsabilità penale è personale e la presunzione d’innocenza non si tocca. Ma se hanno sbagliato, se hanno commesso dei reati approfittando della loro posizione, devono pagare questi errori, anche se sono dei rappresentanti dei lavoratori e al di là delle sigle sindacali, che siano SiCobas, Usb o qualsiasi altra.

Detto questo, la vicenda, comunque vada a finire, ha aperto l’ennesimo squarcio negativo su un distretto che sta mostrando la corda soprattutto sul piano sociale. Vediamo perché.

C’era una volta…

Più di vent’anni fa la logistica è arrivata a Piacenza. E con lei ha portato migliaia di addetti. Soprattutto personale a basso salario che si è riversato in città e nei suoi dintorni. In gran parte cittadini stranieri, i cosiddetti facchini nel giro di qualche anno in molti casi hanno fatto arrivare mogli e figli. E le fila di questa nuova classe sociale si sono ingrossate sempre di più anche in termini generazionali.

Peccato che mentre si costruivano fior di capannoni su milioni di metri quadrati, mentre tonnellate di merci cominciavano ad essere movimentate, nessuno abbia pensato a loro, a questi lavoratori; ad accoglierli, integrarli, a mettere in piedi un piano organico a lungo termine per la loro inclusione sociale. Per farne a tutti gli effetti dei nuovi piacentini. E i risultati si vedono.

Volete qualche esempio? Nella recente campagna elettorale per le Comunali abbiamo assistito all’incontro organizzato dalla Filt Cgil proprio sui lavoratori della logistica, quantificati nel polo di Le Mose dai 3mila ai 5mila addetti a seconda dei periodi. Ecco i problemi denunciati non più tardi di due mesi fa, che nessuno ha mai smentito.

Casa, navette e camionisti

Per tanti lavoratori della logistica oggi è ancora proibitivo trovare una casa o una stanza in affitto a Piacenza; molti non hanno scelta se non “strapagare” posti letto in case sovraffollate, con livelli di vita e convivenza che possiamo immaginare. Le lavoratrici della logistica chiedono servizi per l’infanzia accessibili e vicini ai luoghi di attività che non ci sono. Come non ci sono spazi per la formazione dei lavoratori, a partire dai corsi di lingua italiana; per non parlare di adeguati servizi sociosanitari, come ambulatori o ambiti di promozione sociale.

Solo di recente è stata istituita una navetta che collega la città al polo logistico, ma non è certo sufficiente. Per raggiungerlo non ci sono piste ciclabili e percorsi in sicurezza. D’altra parte basta transitare dalla frazione di Montale e si incontrano a tutte le ore file di lavoratori in bicicletta, monopattino o motorino che rischiano l’investimento sulla via Emilia. E naturalmente mancano parcheggi e servizi. Soprattutto per i numerosi autotrasportatori che vanno avanti e indietro: a Le Mose non c’è una sola area pubblica per il riposo e l’igiene dei camionisti.

La logistica far west

Poi arrivano le valutazioni che fanno pensare alla logistica piacentina come al far west, ben prima di conoscere le carte dell’inchiesta della Procura. La Filt Cgil chiedeva la nascita di un’agenzia pubblica per governarla a 360 gradi. Per verificare la qualità degli investimenti; la compatibilità ambientale delle attività; per prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata; per combattere il dumping sociale a danno dei lavoratori. Come? Verificando l’assegnazione degli appalti attraverso le “white list”, garantendo i controlli fiscali e contributivi, la corretta applicazione di leggi e contratti.

Arrivando agli ultimi giorni, ecco le parole di Michele Vaghini, segretario generale Cisl Parma Piacenza. Dopo aver ricordato l’urgente bisogno di giustizia a tutela dei sindacalisti accusati e dei lavoratori, Vaghini si sofferma sulla “delicatezza della funzione di rappresentanza nei luoghi di lavoro”. A maggior ragione in ambienti dove “il principio di legalità non sempre è stato il cardine su cui costruire un sistema di relazioni aziendali aventi come obiettivo la correttezza economica e normativa dei rapporti di lavoro. Non va dimenticato che in alcune situazioni del comparto logistico in territorio piacentino lo sfruttamento dei lavoratori da parte di imprenditori senza scrupoli e false cooperative era giunto a livelli estremi”.

Dopo gli arresti, ancora la Cgil non ha usato mezzi termini, stavolta parlando al presente. “I conflitti tra lavoratori e aziende sono diffusi ed evidenti in un settore cresciuto in modo incontrollato e spesso a scapito dei diritti dei lavoratori”, ha scritto in una nota la segreteria provinciale. “Grandi aziende della logistica hanno fatto affari grazie a una catena di appalti e subappalti formata da cooperative, mini appaltatori e microaziende, il cui unico fine è abbassare il costo del lavoro. Ed è in questa ‘catena degli appalti’ che le responsabilità sociali sono diluite e i lavoratori, per la maggior parte immigrati, sono più deboli. Questa deriva deve essere fermata”.

Il futuro di tutti

Ancora una volta si capisce tutto il peso di una situazione critica che ha radici profonde. Parliamo di una bomba sociale che va disinnescata. Presto e senza tentennamenti. Se esplodesse, potrebbe lasciare solo macerie sul tessuto sociale e su quello economico del nostro territorio, perché la logistica oggi ne è parte integrante e strategica, che piaccia o no.

Gira e rigira non c’è che una strada, che però non può passare da un controllo pubblico che aggiunga solo burocrazia in mano al Comune, alla Provincia o alla Prefettura. Forse serve davvero un’Authority con strumenti agili ed efficaci. Per abbattere il caporalato, le intermediazioni fittizie e le rendite di posizione di chi sfrutta lavoratori e aziende sane. Premiando le imprese che scelgono la legalità. Premiando i lavoratori con la dignità sociale che non hanno ancora avuto in questi vent’anni di logistica. Ne va del futuro di Piacenza, ne va del futuro di tutti.

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Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.

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