Pasqua di Resurrezione: come ogni anno, il triduo conclusivo della Settimana Santa ci ha introdotto alla festa cristiana più importante. Ce lo siamo già detti altre volte: come le Scritture sono state composte “all’indietro” (cioè ripensando fatti successivi alla luce di un evento precedente), così la Pasqua passa avanti al Natale, nel senso che si è voluto celebrare anche quest’ultimo per fare apoteosi della prima.
La riflessione che andiamo a svolgere ci è stata suggerita da uno spunto banale di attualità. In una trasmissione del mattino di Rai2 (ma si potrebbero fare tanti altri esempi) si parlava della Pasqua come della “festa della rinascita”, giocando sull’incrocio obbligato con la primavera. Non siamo qui a negare che ci sia un legame tra Pasqua e primavera e non solo per una questione di calendario, ma anche perché l’origine ebraica della festa attesta la sua provenienza da società e culture storicamente molto attente al susseguirsi dei cicli della natura. La Pasqua, però, è per Israele e per la Chiesa la festa religiosa per eccellenza. Se il primo celebra l’Esodo dall’Egitto, la seconda fa memoria della Resurrezione di Gesù che nella fede si rivela il Cristo.
Questione di senso e di fede
Perché la “rinascita” non ci convince, dal punto di vista cristiano? Perché, se dovessimo ridurre la Pasqua a consolazione del pensiero e dell’esperienza della morte, confonderemmo piani diversi. La morte è un fatto naturalistico, la resurrezione è un processo di fede letteralmente meta-storico, cioè fuori dal tempo e dallo spazio. La vita dei risorti non è la vita naturalistica di prima solo senza fine, ma è una vita nuova e diversa, senza spazio e senza tempo. Stiamo parlando di metafisica, cioè di qualcosa che è e va oltre l’esperienza sensibile.
Torna utile a questo proposito la lezione di Kant: la metafisica non è conoscibile in senso stretto, perché fuori da spazio e tempo la mente umana non ragiona. Questo, ovviamente, non significa che ciò di cui non si può fare ordinariamente esperienza sensibile non esista, cioè non sia vero e reale: per il credente, semmai, è più vero del sensibile proprio perché ne rappresenta il senso ultimo.
Ecco un punto fermo da ritenere: la resurrezione è questione di senso, non di modo e di misura, perché modo e misura dell’azione di Dio non sono nella nostra disponibilità. E la resurrezione è per eccellenza l’azione di Dio e del suo Spirito, manifestata nel suo Figlio. La Resurrezione rivela la Trinità: il Figlio diacono del Padre, compiuta l’opera affidatagli, attraverso lo Spirito è risorto e si è assiso alla destra dell’Altissimo. Morte, discesa agli inferi, resurrezione, ascensione e ritorno al Padre di Cristo sono una cosa sola: il fatto che la liturgia della Chiesa li celebri in momenti diversi non significa che si tratti di cose separate, proprio perché in Dio non ci sono barriere di tempo e di spazio.
Le apparizioni del Risorto
Diciamo una parola anche sulle apparizioni del Risorto, che ci faranno compagnia nelle letture delle Domeniche tra Pasqua e l’Ascensione: sono prove della fede dei discepoli in Gesù come il Signore, il Figlio del Padre. Le modalità con cui sono state descritte attraverso le tradizioni orali e poi scritte non ne fanno un resoconto come quello di uno storico su una battaglia. Come la Resurrezione, così le visioni del Risorto non hanno (se non eccezionalmente) testimoni che ne abbiano fatto un’esperienza sensibile, ma testimoni che (tutti) hanno raccontato la loro fede in Gesù riconosciuto come il Signore.
Un dato poco conosciuto, che si discosta dall’apologetica storica, è scritto nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 (n. 640): lo stesso sepolcro vuoto non è di per sé una prova diretta della resurrezione. Del pari, il farsi vedere e toccare dal Signore risorto (Gv 20, 27) o il suo atto di mangiare (Lc 24, 41-43) sono concessioni che Lui ha fatto per sostenere la fede dei suoi amici, ma non significano la sua perdurante soggezione alla natura dopo la morte e la resurrezione. Il Signore risorto, infatti, entra a porte chiuse e scompare alla vista. Non ha perso la sua identità, ma è trasformato.
Amare Dio e fare del bene a tutti è resurrezione
Sin qui, abbiamo cercato di spiegare con i limiti nostri e la fede della Chiesa un fatto che, come abbiamo detto, è per antonomasia di Dio. Resta una questione: possibile che la Pasqua di Resurrezione sia solo una questione teologica, cioè astrusa e che rischia di rimanere astratta? Affatto. La Resurrezione non è solo un processo dentro la Trinità, ma è anche il segno della compiacenza di Dio per la vita dell’uomo Gesù di Nazareth. Un sacerdote teologo che conosciamo, per scuotere l’apatia della pratica religiosa vissuta come precetto o come abitudine, ama dire: “Gesù ci insegna a fare l’uomo, non a fare Dio!”.
E cos’ha fatto così bene l’uomo Gesù, al punto da meritarsi la compiacenza del Padre attestata dalla Resurrezione? Due cose. La prima: mettere Dio e il rapporto con Lui al primo posto, al punto di dare la vita per non mancare a questo. La seconda: fare del bene a tutti. Le opere di Gesù sono l’inizio del Regno di Dio. Gesù non ha solo predicato il Regno, ma l’ha inaugurato. Il Regno non è solo meta-storico, ma conviene sia prima di tutto storico, concreto: dare da mangiare agli affamati, guarire i malati, liberare gli indemoniati (oggi diremmo gli infelici) dalla loro forma di possessione (di dipendenza) e così via. Come gli Atti degli Apostoli (10, 38) fanno dire a Pietro nella casa del centurione romano Cornelio: “(…) Gesù di Nazareth passò facendo del bene e risanando tutti (…)”. Fare il bene è già principio di resurrezione.
Non siamo soli
In conclusione, mentre auguriamo ai lettori una lieta e serena Pasqua, suggeriamo un’altra pagina evangelica che ci sembra illustrare bene la verità e insieme l’inafferrabilità del grande mistero di questa festa. È il racconto della trasfigurazione (Mt 17, 1-9). Per qualche istante (se così si può dire, quando sarebbe forse più giusto parlare di una sospensione spazio-temporale) Pietro, Giacomo e Giovanni vedono come sarà il Risorto e sentono la voce che proviene dalla nube luminosa, che esprime il compiacimento del Padre nei confronti del Figlio. Quando si riebbero, non videro altro che Gesù solo.
Ecco: la Pasqua ci assicura che non siamo soli, nemmeno quando viene la notte.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.