Papa Francesco: nonostante alcuni fastidiosi problemi di salute, il Pontefice non lesina gli impegni. E oltre a un videomessaggio per il Festival di Sanremo di condanna di tutte le guerre, lo scorso 10 febbraio ha indirizzato una lettera ai vescovi statunitensi sulle espulsioni di massa dei clandestini, decise dall’amministrazione Trump.
Il tema, incendiario a livello internazionale, difficilmente verrà depotenziato nella sua carica polemica e divisiva da questa presa di posizione pontificia. Vediamo però cos’ha scritto Francesco all’episcopato degli Usa e poi proveremo a farne una lettura ragionata.
Israele, la Famiglia di Nazareth e i migranti di oggi
La breve ma incisiva missiva, nel solco di una consolidata tradizione del Magistero pontificio, istituisce un’equazione al più alto livello immaginabile, in questo caso tra il Dio fatto uomo della fede cristiana e il migrante e il rifugiato. Questi ultimi, infatti, vengono identificati con le esperienze dell’Israele pellegrino verso la Terra promessa del Primo Testamento e addirittura di Gesù e la famiglia di Nazareth esuli in Egitto per sottrarsi agli infanticidi erodiani. È proprio per richiamare l’esperienza raccontata dai cosiddetti “vangeli dell’infanzia” che la lettera fa cenno alla Costituzione apostolica “Exul Familia” del 1952 di Pio XII, ma su questo torneremo più avanti.
Il messaggio centrale dello scritto di Francesco è chiaro e perentorio. Poiché Gesù Cristo, Figlio del Padre e uomo perfetto, ama tutti i suoi fratelli di un amore senza eccezioni e, in virtù della sua umanità, fonda l’infinita e trascendente dignità di ogni persona, i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà sono obbligati a giudicare le norme giuridiche alla luce della dignità e dei diritti fondamentali dei singoli, mentre non vale l’inverso. Ciò che ciascuna persona è supera qualsiasi altra considerazione giuridica che si possa fare per regolare la vita sociale. Anzi, il Papa afferma che il bene supremo di ciascun individuo è ciò che legittima tutte le norme giuridiche.
Bocciatura di Trump e Vance
Quindi, il Papa dice che le «l’avvio di un programma di deportazioni di massa» costituisce una «grave crisi che si sta verificando negli Stati Uniti». Segue la recisa affermazione per cui «la coscienza rettamente formata non può (…) non esprimere dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità». Francesco ammette che «bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e mantenere le comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima del loro arrivo». Poi, però, aggiunge che bisogna farsi carico di quanti migrano per povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione e ragioni climatico-ambientali e che, per farlo, non bisogna espellerli (la lettera usa ancora il termine «deportare»).
Francesco fa appello alla coniugazione di creatività delle soluzioni possibili e rigoroso rispetto dei diritti di tutti, per dire che è possibile promuovere una «migrazione ordinata e legale» senza «il sacrificio di altri» (cioè, evidentemente, il contrasto ai migranti irrispettosi delle regole dei Paesi in cui vogliono entrare). Prima di usuali invocazioni conclusive e dell’esortazione a perseverare nella costruzione di una società più fraterna, il Pontefice afferma, in dissenso rispetto al vicepresidente Usa, il cattolico J. D. Vance, che l’amore cristiano non è amore del più prossimo, ma di tutti indistintamente e in eguale misura. E ribadisce la messa in guardia contro la preoccupazione identitaria, «un criterio ideologico che distorce la vita sociale e impone la volontà dei più forti come criterio di verità».
Pio XII e la cura spirituale dei migranti
Il riferimento iniziale del Papa alle Scritture di entrambi i Testamenti è, per la Chiesa, insieme inevitabile e problematico. Inevitabile, perché la Scrittura è una delle due fonti della Rivelazione per la Cattolicità. Problematico, perché la Scrittura – benché non priva di elementi e riferimenti storici – non è un’opera storica, ma una testimonianza di fede intesa a suscitarla a propria volta. È rilettura degli avvenimenti alla luce di una chiave interpretativa che è necessariamente oltre l’uomo, pur non potendo ovviamente restare senza conseguenze per l’umanità concreta.
Quanto alla “Exul Familia” di Pio XII, ci eravamo riservati una considerazione. Francesco nella lettera all’episcopato Usa conferma che essa è considerata tuttora la “Magna Charta” della Chiesa sulle migrazioni. Ebbene: la Costituzione di Papa Pacelli è dominata innegabilmente da un tipo di preoccupazione, di cui non v’è traccia nei ragionamenti di Papa Bergoglio sulle attuali politiche di espulsione coatta degli immigrati clandestini iniziate dall’amministrazione Trump.
Si tratta della cura spirituale dei migranti. Pio XII non è alieno dal richiamare il diritto naturale alla migrazione, da lui stesso affermato nel radiomessaggio di Pentecoste del 1941. A parte, però, che Papa Pacelli, sempre citando se stesso, giudica illecito impedire l’accesso solo a «stranieri bisognosi ed onesti» e «salvo il caso di motivi di pubblica utilità da ponderare con la massima scrupolosità» (“Exul Familia”, n. 79), il documento del 1952 tiene a mente essenzialmente i casi di migrazioni temporanee causate da emergenze belliche e verso Paesi culturalmente e religiosamente affini. Niente di strano: ogni epoca ha le sue esigenze e il compito del Magistero è proprio quello della Tradizione (con la T maiuscola) di adeguare il messaggio ai tempi.
Quando la Chiesa fatica ad essere compresa
Nondimeno, è innegabile che il Magistero storico non abbia mai lasciato intendere che lo Stato non abbia spazio nell’ambito dei fenomeni umani, né che il singolo ne costituisca la misura esclusiva della legittimità. Né, tantomeno, che per lo Stato confini e cittadinanza siano variabili secondarie. Nella lettera di Francesco ai vescovi degli Stati Uniti, lo Stato come comunità politica e territoriale non è mai citato e l’unica volta in cui si nomina la parola “Stato” si parla di quello “di diritto”.
Nel ricentrare la propria dottrina sull’antropologia, la Chiesa odierna è figlia del proprio tempo. Questo, però, ha delle conseguenze. La Chiesa non si disinteressa affatto della pastorale dei migranti cristiani, ma accetta che l’emergenza mondiale del momento – che non riguarda solo popolazioni cristiane – monopolizzi le sue stesse riflessioni. Una confessione religiosa che non mette avanti considerazioni religiose e spirituali ma economiche e sociali fa più fatica ad essere compresa e, forse, anche accettata.
Non ci sentiamo di condividere le critiche “politiche” a Papa Francesco, non pensiamo di potergli attribuire ostilità verso Trump e compiacenza verso Obama e Biden, che hanno espulso più migranti irregolari del presidente in carica. Non possiamo, invece, fare a meno di notare che una Chiesa che si immerge nel merito pratico di soluzioni politiche è più contestata: più divisiva – non è necessariamente un male – ma forse anche più divisa, e questo non è mai un bene.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.