Cultura

Palmiro Togliatti: 60 anni dopo la morte a Yalta, è ancora il Migliore?

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Palmiro Togliatti e un particolare del dipinto sul suo funerale di Renato Guttuso

Palmiro Togliatti: 60 anni fa scompariva a Yalta (proprio là ove era stato stabilito, nel 1945, il confine della Cortina di ferro) una delle figure politiche più rilevanti non solo del panorama comunista internazionale, ma anche dell’Italia repubblicana costituente ed esordiente. Figura complessa, la sua: amata e odiata, rispettata e sospettata.

Per i “compagni” più vecchi, come disse Giancarlo Pajetta commemorando il suo successore alla guida del Pci Enrico Berlinguer, Togliatti era «il capo del nostro partito». Nella devozione che traspariva dalle parole del compagno Nullo c’era l’eco della propaganda comunista, che sin dal 1945 non aveva esitato a definire Togliatti “il Migliore”, altro epiteto iperbolico, pure tipico della propaganda che era stata prima dei Fronti popolari e poi delle esperienze resistenziali.

“Ercoli”, altro alias di Togliatti al tempo della clandestinità antifascista e dell’esilio sovietico, è stato davvero eccellente in tutta la sua politica, cioè la sua azione? Diciamo subito che non ci compete né articolare, né tantomeno tranciare il giudizio. Per onestà intellettuale e come invitiamo a fare a proposito di chiunque e di qualsiasi fenomeno, manteniamo l’accortezza di non leggere il passato (anche prossimo) con le lenti del presente.

Vocazione intellettuale e difficoltà personali

La biografia di Togliatti, specie oggi, è agevolmente reperibile. Qui ci sembra valga la pena metterne in rilievo qualche tratto privato, che serve a lumeggiarne la personalità. Pensiamo solo al nome, datogli da genitori religiosi il giorno della sua nascita, la Domenica delle Palme del 1893. Un nome, Palmiro, non bello e così profondamente orientato, da non potere sfuggire alla rigorosissima legge del paradosso: chi lo ha portato da quel giorno, infatti, è stato poi una personalità filosoficamente materialista e politicamente anticlericale.

La nota fondamentale della vicenda personale togliattiana è stata, comunque, la marca intellettuale della sua vocazione e della sua formazione. Laureato in legge per volontà dei familiari (relatore Luigi Einaudi), avrebbe voluto prendere anche la laurea in filosofia, ma il corso degli avvenimenti non glielo ha consentito. Di fatto, però, in vita sua si è occupato più di idee che non di carte bollate. Quest’imprinting cerebrale, che pure non ha impedito a Togliatti di dedicarsi all’azione in ambito politico (pensiamo alla partecipazione in Spagna alle vicende della guerra civile 1936-1939), ha segnato anche la sua vita privata.

Il matrimonio con la compagna di lotta Rita Montagnana, cui il leader comunista ha posto fine nell’immediato secondo dopoguerra per dedicarsi alla relazione con la giovane deputata Nilde Iotti, ha avuto come frutto il figlio Aldo (1925-2011). La vita difficile e, si può dire, infelice di questo figlio schizofrenico è stata certo il riflesso delle esperienze familiari, fatte di 17 anni trascorsi nella sinistra Lubjanka (sede della polizia politica e del Kgb) di Mosca. È stata, però, anche la riprova che chi è portato al pensiero ed alla riflessione perviene più tardi e con maggiore difficoltà a trovarsi in pace con se stesso e ad attendere più serenamente alle proprie relazioni personali. Infatti, con la nuova compagna Togliatti affiliò una bambina, Marisa Malagoli, sorella di uno degli operai caduti negli scontri con la polizia alle Fonderie Riunite di Modena, nel 1950.

Dall’Ordine Nuovo all’esilio sovietico

La condotta politica del Migliore può essere suddivisa in tre periodi: la clandestinità e la Resistenza (1926-1943), la svolta di Salerno e la Costituente (1944-1947), gli esordi del Pci nella vita istituzionale del Paese (1948-1964). Prima, naturalmente, si situano gli anni della sua formazione (idealismo, storicismo, pensiero liberale, approcci iniziali al marxismo), l’iscrizione al Partito Socialista (1914) e la decisiva esperienza torinese de L’Ordine Nuovo (1919), quando Togliatti inizia la collaborazione con l’amico e compagno Antonio Gramsci. Nel 1921, l’intellettuale piemontese non è fisicamente presente a Livorno, dove i comunisti fanno scissione dal Psi, ma il suo nome è associato a quelli di Gramsci, di Amadeo Bordiga, Angelo Tasca, Umberto Terracini e Camilla Ravera, fondatori del Partito Comunista d’Italia.

La lunga permanenza sovietica, conseguenza dell’instaurazione in Italia del regime fascista, è stata dominata dalla convivenza con l’ingombrante e pericolosa personalità di Stalin. La necessità (fatta la scelta del comunismo, s’intende) di accomodamenti con il dittatore, che pure teneva Ercoli in grande considerazione come figura eminente dell’Internazionale, è stata certo all’origine della celebre “doppiezza” togliattiana. In una biografia del Migliore scritta da Giorgio Bocca, si ricorda che il leader italiano aveva paragonato il capo sovietico ad una fiera, imprevedibile almeno quanto insidiosa: per questo, Togliatti non trovava soluzione migliore che incrociarlo personalmente il meno possibile.

Molto si è detto dell’appoggio prestato dal Migliore alle politiche staliniane e sovietiche in generale, anche in danno di posizioni nazionali: su tutti, spiccano i casi dei prigionieri dell’Armir e degli italiani infoibati in Jugoslavia dai partigiani del maresciallo Tito. Al di là del coinvolgimento e delle responsabilità personali, nessun dubbio può residuare su due coordinate alle quali Togliatti si è sempre certamente attenuto: la logica ideologica della scelta di campo (noi/loro) e il conseguente, ferreo allineamento sovietico.

Unità antifascista, Costituente e Pci nelle istituzioni

Alla luce di queste due stelle polari, si deve forse riconsiderare il giudizio generalmente positivo portato sulle scelte comuniste italiane tra il 1944 e il 1947: nel senso che non sarebbe stata, allora, tutta farina del sacco togliattiano?

Stiamo parlando dell’iniziale accantonamento della questione istituzionale (differita al referendum del 2 giugno 1946) per completare unitariamente la guerra di Liberazione, con la partecipazione anche personale di Togliatti ai governi Badoglio, Bonomi, Parri e De Gasperi. E del contributo dato alla scrittura della Costituzione in generale ed in particolare dell’articolo 7 (principio concordatario per la regolazione dei rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica). Togliatti depose le velleità rivoluzionarie e ne marginalizzò i fautori (come Pietro Secchia) perché glielo aveva suggerito Stalin? Non si può dire, come neanche escludere.

Certo, il sangue freddo mostrato dopo l’attentato da lui subito per mano di Antonio Pallante (14 luglio 1948) va ascritto, secondo noi, alla responsabilità ed alla lucidità di visione del Migliore. Il Pci si era appena legittimato, pur tra mille e reali contraddizioni, nella via democratica dell’Italia repubblicana. Una reazione scomposta (non parliamo di scintille insurrezionali) ne avrebbe implicato un radicale isolamento: la lezione di Lenin, secondo cui l’estremismo era la malattia infantile del comunismo, non doveva essere dimenticata.

Il “partito nuovo” e la penetrazione comunista 

L’ultimo Togliatti, quello che prima perde le elezioni ordaliche del 1948 e, dopo il 1953, vede sfaldarsi il cartello elettorale del Fronte, ed i compagni socialisti avanzare verso la prospettiva del centrosinistra, è anche quello che gli italiani non comunisti hanno conosciuto di più, vedendolo qualche volta in televisione. Il suo sembra un lungo addio, poetizzato quasi dalla morte nella seconda patria sovietica, dove si era recato per cercare di riparare ai guai cinesi di Chruščёv, in procinto di essere liquidato da Breznev.

In realtà, gli anni ’50 sono quelli in cui il “partito nuovo” di Togliatti non solo si riproduce e si radica capillarmente nel tessuto politico, amministrativo e civico italiano, ma comincia anche quell’opera di penetrazione culturale di gangli decisivi del potere diffuso che solo con Berlinguer lambirà le auspicate vette gramsciane dell’egemonia. Parliamo dell’editoria, della cinematografia, dell’arte e del mondo della cultura in generale: del sentire comune comincia a fare parte anche il “sentire comunista”.

Intellettuale, politico, uomo di parte

Palmiro Togliatti è stato un protagonista della storia d’Italia, un intellettuale di rango e un politico accorto, anche se non privo di contraddizioni, fragilità e colpe. Certamente, è stato un uomo di parte: non poteva essere diversamente, per il capo del più grande partito comunista dell’Occidente.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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