Cultura

Il giallo del capolavoro di Tiziano a Capodimonte: racconta la storia di Piacenza?

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Tiziano: all’ingresso di Capodimonte ti accoglie il dipinto che è uno dei capolavori assoluti del grande artista del 500. È un po’ la Monna Lisa dello straordinario museo di Napoli: ritrae Papa Paolo III con i nipoti. Secondo gli storici dell’arte il dipinto è del 1546. Probabile. Ma se non fosse così?

Quadro di Stato

Il grande dipinto di Tiziano (202 X 176 cm) è certamente un “quadro di Stato”. Cioè una tela commissionata per una grande occasione. Doveva immortalare un avvenimento e doveva trasmettere qualcosa ai posteri. Per esempio, in questo solco troviamo i ritratti di Stato di Papa Leone X con i cardinali Giulio de Medici e Luigi de Rossi di Raffaello (agli Uffizi di Firenze); il Giulio II, sempre di Raffaello (alla National Gallery di Londra); o il Sisto IV col Platina di Melozzo da Forlì della Biblioteca Vaticana.

Nel nostro caso vediamo Papa Paolo III, vecchio ma irriducibile, contornato dai nipoti Alessandro e Ottavio, entrambi figli di quel Pier Luigi Farnese che è stato il primo duca di Piacenza e  Parma, precocemente assassinato nella famosa congiura piacentina. Mentre il cardinale Alessandro stringe il pomolo della sedia papale come a sostenere che, morto il nonno, sarebbe diventato Papa lui (cosa che non è accaduta), Ottavio si inchina verso il nonno mostrando il profilo. Perché?

La sfida all’imperatore

Ricordiamo che l’anno prima dell’esecuzione (presunta) del dipinto, nel 1545, Paolo III aveva staccato Piacenza e Parma dallo stato della Chiesa per erigerle a feudo personale del suo primogenito, Pier Luigi appunto, sfidando così le ire dell’imperatore Carlo V che vedeva soprattutto Piacenza come un baluardo indispensabile per la sicurezza di Milano. Carlo V nel suo testamento scrive infatti: “I punti più importanti del nostro impero sono Italia e Fiandra. Quella per mezzo di Milano e di Piacenza e questa per…”.

Tanto vero che quando due anni dopo, nel 1547, per una congiura di nobili piacentini Pier Luigi viene ucciso, Ferrante Gonzaga, comandante dell’esercito di Carlo V, prenderà immediatamente il controllo di Piacenza. Il tutto col consenso dell’imperatore che, così facendo, avallava l’assassinio del consuocero. Consuocero? Sì, perché Ottavio aveva sposato Margarita d’Austria, figlia naturale ma riconosciuta di Carlo V.

Dunque, una delle spiegazioni che gli studiosi danno del dipinto era l’intenzione di comunicare che Ottavio sarebbe stato il successore legittimo di Pier Luigi, essendo il primogenito. Logico? Relativamente. Ma ricordiamoci che siamo tutti nel campo delle ipotesi e che ogni spiegazione è possibile.

Capolavoro incompleto

Il dipinto poi non è finito. Tiziano non dà l’ultima “mano” alla manica del cardinale; la mano sinistra del Papa, appoggiata al tavolo, è un accenno; come non è neppure disegnato il secondo pomolo della poltrona papale. Dunque, è pacifico per tutti che il quadro è stato interrotto, e non certo per volere del pittore.

Allora perché? Secondo Roberto Zapperi (“Tiziano, Paolo III e i suoi nipoti”, Bollati Boringhieri) perché Paolo III aveva intenzione di ottenere da Carlo V l’approvazione del nuovo ducato, suggerendogli col dipinto: “Vedi che alla morte di mio figlio, sarà duca tuo genero con tua figlia”. Ma una volta accertato che Carlo V non avrebbe mai approvato l’investitura, decide di abbandonare l’alleanza con l’imperatore e di legarsi al suo più fiero nemico, il re di Francia. Infatti, proprio in quei mesi, Paolo III organizza le nozze tra l’ultimo dei figli di Pier Luigi, Orazio, e Diana di Francia, figlia di Francesco I. Il matrimonio verrà celebrato a Parigi solo nel 1553, perché all’epoca del quadro, Orazio aveva solo 14 anni. Di conseguenza, vista la piega presa dagli eventi, non aveva più importanza terminare il dipinto di Tiziano.

Ipotesi suggestiva

Tutto consequenziale, certo. Però c’è un altro giallo da risolvere: perché il nipote si inchina al nonno? Perché il nonno lo guarda in tralice, come se lo stesse sgridando? Non possiamo proprio dire che Tiziano, maestro indiscusso nel riprodurre i caratteri e le espressioni, abbia dipinto un Paolo III sorridente o benevolo. Sembra invece arcigno e indispettito, mentre il nipote appare titubante e imbarazzato.

Facciamo i conti: Paolo III nel 1546 aveva 78 anni e morirà tre anni dopo, nel 1549, a 81. Tiziano rimane a Roma fino al 1548, quando farà ritorno a Venezia. Nel frattempo non si registrano screzi tra il Papa e il pittore veneto.

Ricapitoliamo: Pier Luigi diventa duca di Piacenza e Parma nel 1545 e viene assassinato nel 1547. Sempre nel 1547 Ottavio inizia quella che viene chiamata la “guerra di Parma” per riconquistare il ducato. Il Papa, nel frattempo, cerca di mediare con l’imperatore per ritrovare un equilibrio diplomatico dopo il cambio di alleanze tra Spagna e Francia. In quello stesso 1547 il Papa sembra molto infastidito dall’attivismo del nipote Ottavio, al quale offre la molto meno attraente Camerino al posto di Piacenza e Parma. Dunque, sembra più logico che il dipinto sia di quell’anno, del 1547, non del 1546. E che il Papa lo intendesse come un monito al nipote di non contrastare la sua politica.

Piacenza protagonista

Riconoscete che la nostra spiegazione possa apparire più logica? Ma, soprattutto, se così fosse, potremmo dire che in uno dei più famosi dipinti del Rinascimento, nella “Gioconda” di Capodimonte di Tiziano, si parla di Piacenza, città chiave, come abbiamo visto, nelle strategie imperiali e papali. Senza dimenticare che quando Paolo III crea il ducato lo chiama di “Piacenza e Parma”, perché Piacenza ha il doppio di abitanti di Parma e di conseguenza diventa la capitale del ducato. Solo dopo l’assassinio di Pier Luigi la capitale viene spostata a Parma con il nome del ducato che cambia irrimediabilmente in “Parma e Piacenza”. E questo anche se la moglie di Ottavio preferirà sempre Piacenza, dove Margarita d’Austria creerà il Palazzo Farnese e poi vorrà essere sepolta nella Basilica di San Sisto a testimonianza imperitura del suo amore per questa terra.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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