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Germania: cosa c’è dietro al no tedesco sul tetto al prezzo del gas?

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Il cancelliere tedesco Olaf Scholz

Germania: alla notizia che il cancelliere Olaf Sholz ha varato un recovery tutto tedesco di 200 miliardi di euro per combattere il caro bollette, rifiutando un tetto al prezzo del gas, non possono che tornare alla memoria i momenti bui della repubblica di Weimar. All’epoca un chilo di pane costava 400 miliardi di marchi e per andarlo a comprare si usava una carriola piena di soldi. Sono passati cent’anni, era il 1923, nessuno degli attuali politici tedeschi era nato. Eppure quella immagine è presente in ciascuno di loro, sembra impressa nel sangue.

Ai tempi del marco

Chi ricorda le resistenze nel 1999 dell’allora cancelliere tedesco Gerhard Schröder (oggi super consulente di Gazprom) ad abbandonare il marco? Per ogni tedesco il Deutsche Mark era come la mamma, come la coperta di Linus. Per loro fortuna, da allora l’inflazione non ha mai fatto capolino. Ma appena ha rialzato la testa, basta: buttiamo a mare decine d’anni di solidarietà europea, di fratellanza pandemica, di riunioni ministeriali a Bruxelles.

Il rifiuto della Germania di discutere un tetto al prezzo del gas non è politico, è patologico. Rivela anni bui di privazioni, serate passate al freddo e al lume della candela, resse attorno ai negozi del pane. E pensare che Sholz è del 1958; tecnicamente è un boomer, nato molti anni dopo la fine della guerra, mentre la Germania Ovest era già diventata la locomotiva d’Europa. Come lui Angela Merkel (68 anni). Anche il predecessore, Schröder, è nato nel 1944 e così non può avere ricordi di gravi tragedie. Ma probabilmente, anzi, certamente, tutti e tre hanno sentito i genitori e i nonni che raccontavano i fatti di tanti anni prima.

E Ursula?

Della stessa età di Scholz, Ursula von der Leyen proviene anche dalla stessa esperienza (entrambi sono stati a lungo ministri della Merkel); eppure la presidente della Commissione europea ha una visione molto meno patologica. Infatti continua ad insistere che è necessario un accordo comune; che è ora di smetterla che noi si paghi l’energia elettrica prodotta dalle rinnovabili o dalle centrali idroelettriche come quella prodotta col gas russo; che è ora di finirla con le imprese che speculano e sfruttano la situazione. Oltre ai prezzi del pellet e della legna da ardere, anche i prezzi di stufe e camini sono schizzati verso l’altro. Siamo, alla fine, un Paese o meglio un continente di borsari neri che si rivelano ad ogni occasione.

Import-export e furberie

Vorremmo poi ricordare a herr Scholz che l’import-export tra Italia e Germania è quest’anno di 85,9 miliardi di euro (+ 23,5%, nel 2021 era 69,6 miliardi). Noi esportiamo ogni anno in Germania 8 miliardi di siderurgia, 5 di chimico-farmaceutico, 5 di macchinari, 4 di automotive, 3 di agroalimentare, 2,8 di gomma e plastica, altrettanto di tessile e 2,4 miliardi di apparecchi elettrici.

La “furbata” del cancelliere non è solo frutto delle sue paure ancestrali. Il gioco di Berlino è presto detto: se l’energia costa molto meno per le nostre imprese, i prodotti made in Germany avranno prezzi più competitivi e ne esporteremo di più per esempio rispetto all’Italia o alla Francia che hanno a che fare con bollette stratosferiche…

Probabilmente però il cancelliere si è già dimenticato del 2020 o finge di farlo. All’epoca era ministro delle Finanze della Merkel, dunque in grado di sentire forte e chiaro il grido della Confindustria tedesca che rispondeva al nostro lockdown: “Riaprite le vostre fabbriche! Senza i vostri semilavorati abbiamo intere catene di montaggio ferme”.

E così la Germania si troverà – senza un concerto europeo – a sfornare Volkswagen, Audi e Bmw a prezzo competitivo ma acquistando dall’Italia a prezzi esorbitanti la componentistica indispensabile. Perché ci sembra normale che declinando la solidarietà alla tedesca i prezzi italiani non restino fermi.

Uno spiraglio…

A noi resta un problema, se non si troverà un accordo complessivo: le imprese che non esportano in Germania andranno a carte e quarant’otto. Perché ricordiamoci bene che quand’anche Giorgia Meloni, improvvisamente impazzita, dovesse distribuire aiuti a piene mani, non si tratterebbe di soldi del Monopoli: o li trova sui mercati (che bel momento per fare debito…) o li chiede all’Europa.

L’unica apertura, per fortuna, è ancora quella di Scholz che, in risposta al commissario Ue Paolo Gentiloni ha testualmente detto: “La maggior parte dei soldi del Recovery Fund non è ancora stata spesa”, e questo fondo “agisce direttamente nella crisi attuale”. Il Cancelliere ha parlato di circa 750 miliardi ancora in giacenza. Su queste basi, forse potrebbe non essere difficile mettere d’accordo l’Europa.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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