Attualità

Donald Trump e l’impeachment: un grande bluff o c’è di più?

donald-trump-impeachment-grande-bluff

Donald Trump: Nancy Pelosi e i Democratici tentano la carta dell’impeachment del presidente statunitense. La campagna per la rielezione, nel novembre 2020, si preannuncia per il tycoon una guerra senza esclusione di colpi.

La procedura di destituzione da parte del Congresso, pur restando un potenziale boomerang per i suoi promotori, rappresenta un salto di qualità nello scontro. Mette in crisi più di quanto già non sia l’autorevolezza internazionale di Trump, notoriamente bassa a causa delle sue tendenze isolazioniste e del suo stile anticonvenzionale. E rischia di indebolire gli Usa nelle tante partite (Cina, Iran, Corea, Russia) che sempre si giocano sullo scacchiere globale. Vediamo allora cosa sembra aver fatto rompere gli indugi agli avversari di The Donald e come funziona la procedura dell’impeachment.

Le nebbie di Kiev

C’è sempre di mezzo la giustizia, anche oltreoceano. L’accusa, dopo quella alla base del Russiagate su cui ha indagato il procuratore Mueller, si sposta di poco geograficamente parlando. Questa volta la collusione con l’estero riguarda l’Ucraina. Il presidente avrebbe fatto pressioni sul nuovo leader di Kiev, Voldymyr Zelensky, affinché nel suo Paese si indagasse sul figlio di Joe Biden, l’ex vice di Barack Obama e probabile prossimo avversario di Trump alle presidenziali.

La vicenda è parecchio ingarbugliata. Joe Biden, insieme con dei diplomatici europei, aveva domandato sin dal 2016 il licenziamento del procuratore ucraino Viktor Shokin. Lo ritenevano troppo debole nella repressione dei fenomeni corruttivi. Trump sostiene invece che il vero motivo per cui il suo avversario si sarebbe attivato era scongiurare inchieste sulla società energetica ucraina Burisma. Nel cui consiglio di amministrazione ha seduto fino allo scorso aprile Hunter Biden, figlio dell’ex vicepresidente americano. Per cui il tycoon sostiene di aver reagito ai tentativi di insabbiamento del suo avversario democratico.

Secondo i suoi detrattori, invece, lo avrebbe fatto per danneggiare la campagna elettorale dell’avversario. E, spendendo la sua autorità di capo di Stato, Trump avrebbe asservito la funzione pubblica ai suoi interessi privati. In più, operando nell’ambito delle relazioni estere, avrebbe pregiudicato la sicurezza nazionale, cercando di far dipendere l’esito delle presidenziali dall’azione di soggetti stranieri.

Telefono “amico”

Le pressioni del presidente Usa sul leader di Kiev si sarebbero realizzate in una telefonata tra i due capi di Stato lo scorso 25 luglio. Il contenuto della conversazione ha insospettito un agente del servizio segreto addetto a registrarla. Il 12 agosto, l’agente ha presentato al riguardo una denuncia formale (“whistleblower complaint”). I suoi superiori dell’intelligence l’hanno classificata fondata, credibile e urgente. Per questo motivo hanno attivato il Dipartimento di Giustizia e le competenti commissioni del Congresso. L’amministrazione ha concluso per l’irrilevanza penale del comportamento del tycoon. Ma il Congresso, o almeno la Camera controllata dai Democratici, la pensa diversamente.

La Casa Bianca, dopo un’esitazione di qualche settimana e dopo la dichiarazione di guerra della Pelosi di ieri, ha rilasciato oggi la trascrizione integrale della conversazione incriminata. Se ne apprende che il presidente ha offerto al presidente Zelensky assistenza a investigare sulla società ucraina nel cui board sedeva Hunter Biden. Il tentato coinvolgimento in inchieste del figlio del suo avversario potrebbe costare a Trump la contestazione di violazione delle leggi americane sul finanziamento delle campagne elettorali. Ma soprattutto, come si è detto, l’accusa di cospirazione estera e quindi, in definitiva, di tradimento.

Nancy Pelosi, speaker della Camera e leader dei Democratici, ha tuonato ieri: il presidente è venuto meno al giuramento. Ha tradito la sicurezza nazionale e l’integrità del futuro processo elettorale per la Casa Bianca. Tanto basta secondo lei, stavolta, per attivare la procedura d’impeachment. Che il tycoon ha già bollato come caccia alle streghe, sostenendo che si ritorcerà contro i suoi avversari.

Impeachment: come funziona

L’istituto dell’impeachment è stato strutturato dai padri fondatori statunitensi su diversi gradi. Non sorprende, giacché il suo esito finale sarebbe la destituzione del titolare della carica elettiva più importante del Paese. Anzitutto, le accuse per cui può essere attivato sono soltanto 3: tradimento; corruzione; gravi crimini e misfatti. La terza tipologia d’accusa è esageratamente non tassativa per usare le categorie penalistiche, cioè molto elastica. Nel caso Trump-Ucraina, l’imputazione potrebbe oscillare tra la prima e la terza opzione. Ma è chiaro che, per gravità e risonanza, il colpo grosso democratico sarebbe provare la prima accusa.

La causa dev’essere istruita da una (apposita) o più commissioni (permanenti) della Camera dei Rappresentanti. Quindi, occorre che l’assemblea voti l’incriminazione a maggioranza semplice. I Democratici controllano questo ramo del Congresso e non ci saranno problemi. Una volta votata l’incriminazione alla Camera, il giudizio vero e proprio compete al Senato. È la camera alta il giudice del presidente Usa, sotto la guida del presidente della Corte suprema.

Qui la situazione dei numeri è ribaltata: sono i Repubblicani ad avere la maggioranza (53 contro 47). Ma per la condanna dell’inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue occorre il voto della maggioranza dei 2/3 dei senatori, cioè 67. Il che sembrerebbe chiudere il discorso prima di cominciarlo. Anche perché al Senato il partito del tycoon avrebbe anche diversi mezzi regolamentari per rendere arduo il corso della procedura.

Un grande bluff?

L’impeachment del presidente è stato attivato solo altre 2 volte in quasi due secoli e mezzo di storia americana. Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1999 furono entrambi assolti dal Senato, ancorché da accuse molto diverse. Richard Nixon si dimise invece, nel 1974, prima che l’incriminazione venisse formalizzata.

Nancy Pelosi e i Democratici sembra si siano incamminati per questa strada. Difficile dire se arriveranno in fondo. Sembra più probabile che intendano soprattutto tenere sotto pressione Donald Trump. E magari rendergli difficili le richieste d’aiuto elettorali all’estero per cui sta diventando famoso.

+ posts

Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.