Don Maurizio Noberini parla chiaro. “Il nostro problema oggi non è il distanziamento ma l’avvicinamento, alla Farnesiana come nel resto di Piacenza. E sta crescendo la povertà. Pensi che su 2.500 famiglie che vivono in questo quartiere – e cioè circa 6.500 abitanti – oltre 180 nuclei vivono con le borse alimentari e con gli aiuti economici della nostra parrocchia di Santa Franca e delle due vicine, Corpus Domini e San Lazzaro. Numeri in aumento, non so se mi spiego, che tocchiamo con mano quotidianamente”. E che fanno capire come certe statistiche che indicano un miglioramento della qualità della vita a Piacenza lasciano un po’ il tempo che trovano.
In città dici Farnesiana e ti parlano di lui. Don Noberini è un prete dai modi gentili ma senza fronzoli. Anche se ha qualche problema di salute, il suo piglio è battagliero. Per prima cosa ti dà la sensazione di essere guidato da una fede profonda, quella dei preti di frontiera. E poi di conoscere il suo territorio palmo a palmo. D’altra parte non potrebbe che essere così. Don Maurizio, 70 anni, è alla parrocchia di Santa Franca dal 1983. È arrivato che ne aveva 32 come coadiutore, poi ne è diventato il parroco. E tra l’altro è anche il presidente di Africa Mission.
Un tempo, ci racconta passeggiando tra la chiesa di Santa Franca e la parrocchia, “nei caseggiati del quartiere vivevano soprattutto i piacentini arrivati dal meridione, che portavano molta giovialità e cordialità. Siciliani e calabresi, spesso manovali e muratori, che dopo tanti sacrifici riuscivano a costruirsi la loro casa e lasciavano quegli alloggi popolari che oggi sono in buona parte occupati da stranieri”.
Tra grandi palazzine, strade e spazi verdi anche di ampio respiro, il quartiere della Farnesiana a un primo sguardo non si presenta male. Ma periodicamente sale all’onore delle cronache per tensioni sociali e fatti di cronaca nera che finiscono in prima pagina. L’ultimo è stato la settimana scorsa: una rissa con un ferito grave, un giovane straniero che ha rischiato la vita per una coltellata.
Don Noberini, c’è un allarme sicurezza, o peggio, un allarme criminalità, alla Farnesiana?
“Non credo che qui ci sia più criminalità che in altre zone di Piacenza. Siamo nella media, se non al di sotto dei numeri di altri quartieri. Piacenza è piccola, di risse come dello spaccio di droga ne abbiamo conto anche in parti della città, da via Roma alla Besurica. Ma questo non ci deve rasserenare e men che meno far abbassare la guardia”.
Perché?
“La criminalità, quella vera, non vuole che succedano fatti del genere dove ha le sue basi. Non vuole attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Meglio un’apparente tranquillità, che gli consente di muoversi senza dare nell’occhio”.
E su chi propone anche alla Farnesiana telecamere ad ogni angolo di strada per aumentare la sicurezza, come la pensa?
“Guardi, le rispondo così: al posto delle telecamere vorrei che ci fossero degli occhi aperti sui bisogni degli altri; e se poi le telecamere potessero anche aiutare a identificare chi magari ha commesso un atto vandalico, sappiamo bene che questi personaggi alla fine se la cavano con poco. Le dirò di più, come sanno tutti da anni sono schierato contro il carcere come soluzione per riabilitare chi ha sbagliato. E per dirlo abbiamo fatto tante fiaccolate da qui alle Novate”.
Il clima comunque non è dei migliori…
“Il tempo della pandemia ha fatto gravi danni non solo sul piano sanitario ma anche sociale. Il virus ha fatto emergere dei mali che erano presenti anche prima, su cui avevamo steso un velo pietoso illudendoci che non ci fossero. Ci illudevamo di aver conquistato una certa capacità di convivenza, una certa tranquillità, quasi quasi di vivere una stagione felice”.
Invece?
“Con la pandemia sono emerse molte cose spiacevoli, poco positive. Altro che ‘andrà tutto bene’, come recitava lo slogan un po’ infantile che ci hanno propinato a destra e a manca. Dietro a tanto buonismo, ben diverso dalla bontà, le persone sono diventate più diffidenti e indifferenti. Vige il si salvi chi può, ciascuno pensa per sé e si dice dio per tutti. Vede questi grandi palazzi che abbiamo di fronte? Bisogna entrarci per capire”.
Che cosa succede lì dentro?
“Se chiede a qualcuno qualcosa del suo vicino, di chi abita sul suo pianerottolo, si sente ripetere ‘non so niente’, magari dopo vent’anni di vita fianco a fianco. E questo non è colpa dell’arrivo degli stranieri, sia ben chiaro. Dobbiamo rompere questo muro di omertà e indifferenza. E a questo proposito le racconto un aneddoto”.
Prego don Noberini…
“Domenica scorsa alla fine della messa, prima della benedizione, ho allungato i tempi della funzione e ho detto ai miei fedeli: adesso vi do un po’ di tempo per conoscere i vostri vicini di panca; scambiate due chiacchiere, almeno chiedetegli come si chiamano, altrimenti va a finire che dopo trent’anni che frequentiamo la stessa chiesa non abbiamo conosciuto una persona in più”.
La sua ci sembra una visione piuttosto pessimistica, c’è una via d’uscita?
“Certo, come dice Papa Francesco, possiamo raddrizzare questa barca che è in mezzo a una tempesta solamente se saremo capaci di aiutarci l’un l’altro, facendo tesoro di questa esperienza dolorosa, di questa crisi sanitaria che chiaramente non è ancora passata, per essere più solidali e meno indifferenti. Creda, è l’unico modo per salvare se stessi e non finire vittime di una deriva che porta a una cattiveria collettiva. Come le dicevo, il nostro problema oggi non è il distanziamento, ma l’avvicinamento tra le persone: eravamo distanziati anche prima, e con la partecipazione a qualche evento, a qualche festa, pensavamo che non fosse così, la pandemia ha reso questo allarme evidente a tutti”.
In concreto che cosa si può fare e cosa sta facendo?
“Credo che iniziative pubbliche come quelle che hanno portato allo stanziamento di fondi per rimodernare alcuni palazzi del quartiere siano significative, perché anche il decoro urbano genera un senso di appartenenza e di comunità. Poi, la notte di Natale inizieremo le celebrazioni per i 50 anni dalla nascita della nostra parrocchia che dureranno fino al Natale successivo. Sarà l’occasione per ripercorrerli con tante iniziative e trovare nuovo coraggio per affrontare il futuro, restando una comunità aperta come siamo stati finora, mettendo al primo posto chi ha bisogno di aiuto, italiano o straniero che sia. L’esperienza del centro Caritas ‘La Giara’, dove abbiamo instaurato ottimi rapporti con le comunità estere, insegna: dobbiamo continuare così. Pensi che prima del Covid qui avevamo un doposcuola con 18 bambini stranieri su 20”.
I giovani sono la chiave per l’integrazione del futuro, come state affrontando i loro problemi alla Farnesiana?
“Proponiamo percorsi educativi in parrocchia fino alle superiori, e c’è una bella partecipazione; mentre per gli universitari facciamo capo alle iniziative della Diocesi. Poi ci sono i corsi organizzati con altre parrocchie anche per i genitori su temi delicati come l’uso di internet e dei social”.
E per gli ultimi, i ragazzi nelle condizioni più difficili?
“Qui l’esperienza degli educatori di strada, partita da San Lazzaro, sta dando ottimi risultati. Sono una realtà interconfessionale e multiculturale molto importante. Incontrano i ragazzi a scuola e dove vivono. Non solo alla Farnesiana ma in tutta Piacenza, gli educatori di strada sono l’esempio di una rete di sicurezza fatta di solidarietà e di attenzione ai giovani che va assolutamente potenziata”.
Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.