Caso De Angelis: la vicenda causata dalle dirompenti dichiarazioni del responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, forse chiusa dalle scuse rese dallo stesso nel tardo pomeriggio di ieri, è singolare per due profili.
Anzitutto, è strano doversi occupare, sulla ribalta nazionale, del portavoce del presidente di una Regione. In secondo luogo, è poco confortante dovere prendere per l’ennesima volta atto, attraverso l’equivoco in cui Marcello De Angelis sembra essere incorso, dell’evanescente senso delle istituzioni esistente nel nostro Paese.
La delicatezza della comunicazione
Per quanto riguarda il primo aspetto della questione, si tratta dell’eclatante conferma di un dato già noto; e cioè che la comunicazione (tanto più se istituzionale, come in questo caso) è una componente essenziale della vita del nostro tempo. L’ufficio di portavoce implica la capacità di sminare terreni infidi; mentre non può certamente consistere nel seminare ostacoli altrimenti inesistenti e anche solo difficilmente immaginabili. Ciò significa che, nel contesto di un ente pubblico di qualsiasi livello e natura, la corrispondente responsabilità non può essere attribuita con leggerezza. Detto più chiaramente: non si può assegnare l’incarico di responsabile per la comunicazione a una determinata persona solo perché i rapporti che si sono intessuti con questa sono, ovvero sembrano tali da esigere qualche forma di riconoscenza.
Nel caso di De Angelis, bisogna dare atto al presidente della giunta regionale del Lazio, Francesco Rocca, di essersi rivolto a un giornalista professionista, oltreché persona di fiducia. La vicenda di questi giorni si è, però, incaricata di fare sapere che De Angelis, per ragioni personali e familiari, nonché politiche, nutre qualche risentimento, più o meno fondato. Prevedere tutto ex ante è impossibile, ma lo è altrettanto eludere un bilancio ex post. Le scuse di Marcello De Angelis, pubblicate sui social come l’intemerata dei giorni scorsi, basteranno a Francesco Rocca solo se questi accrediterà la veridicità dell’equivoco, in cui il suo portavoce sembra sia incorso.
Il senso delle istituzioni
Per venire, appunto, all’equivoco, De Angelis aveva evocato, prima di scusarsi, la libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta dall’articolo 21 della Costituzione. Si era addirittura paragonato a Giordano Bruno, arso sul rogo con l’accusa di eresia e a causa del suo rifiuto di asseverare i dogmi. E, prima ancora, ai martiri dell’epoca paleocristiana. Il problema del portavoce della Regione Lazio è che lui (istituendo un paragone ardito tra Chiesa cinquecentesca e politica italiana del terzo millennio) non è un frate di convento, ma un monsignore dell’Inquisizione. Oppure, pensando ai tempi di Nerone, è un pretoriano e non un perseguitato.
Parlando più chiaramente, il ragionamento fatto da De Angelis va completamente rovesciato. In quanto implicato, anche se indirettamente, con un’istituzione pubblica, non doveva esprimersi in termini così esplicitamente polemici e di dissenso rispetto a delle sentenze passate in giudicato e alle massime istituzioni dello Stato. In più, si è messo a parlare di una questione che nulla ha a che vedere con l’istituzione (la Regione Lazio) che sta servendo. Il riferimento al diritto alla libera manifestazione del pensiero non è pertinente, perché nessun diritto – salvo quello alla vita – è assoluto, bensì deve comporsi con gli altri, cioè con la realtà.
La realtà di Marcello De Angelis, sino a che sarà responsabile della comunicazione della regione di Roma capitale, è che non può dire quello che gli pare, ove si tratti di contenuti che lo pongano in contrasto radicale con altre istituzioni repubblicane. Se volesse farlo, dovrebbe prima rescindere quel rapporto (professionale) e solo dopo sarebbe libero di dire e fare ciò che vuole: presentare un esposto a una procura della Repubblica, fare denunce sociali sui mezzi di comunicazione, ovvero entrambe le cose insieme. Invece, prima che si scusasse, il suo comportamento lasciava pensare che egli avesse finito in qualche modo per approfittare della propria collaborazione istituzionale, onde dare maggiore eco alle sue opinioni personali.
Il passato e la guida di FdI
Sul merito delle dichiarazioni di De Angelis relative all’eccidio della stazione centrale di Bologna, costato la vita a 85 persone, ognuno è libero di nutrire l’opinione che crede. Qui ci permettiamo di notare che sempre, quando ci si interroga intorno a fatti di così grande e tragica portata, è difficile che il dibattito pubblico accetti ricostruzioni con pretese di definitività, anche a costo di mettere in discussione (non saggiamente) accertamenti sostanzialmente fedeli dell’accaduto.
L’ultima considerazione che ci permettiamo, invece, è relativa a Fratelli d’Italia, il partito del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. È dalle sue file storico-politiche e culturali che proviene Marcello De Angelis. Il movimento ha avuto una crescita elettorale e di influenza politica eccezionale, non assistita – quasi fatalmente – da una corrispondente fioritura di un’adeguata classe dirigente. De Angelis, attualmente, non riveste responsabilità politiche, ma ha idee abbastanza chiare e un’appartenenza inequivoca.
Meloni ha fatto trapelare di aspettarsi le scuse (poi arrivate) dell’ex direttore del Secolo d’Italia, ma, al netto di queste e del fatto se esse basteranno o meno anche a Rocca, il problema rimane. FdI ha tagliato i ponti con un certo mondo, minoritario anche nella destra del passato? Oppure, ha deciso di traghettarlo dentro il proprio nuovo corso, compiendo lo sforzo di farlo consapevolmente integrare? Ovvero, ha scelto di tirarselo dietro a strascico, della serie: nessun voto disperso a destra? La questione non può essere elusa indefinitamente dal presidente del Consiglio, perché oggi Giorgia Meloni riveste un ruolo istituzionale centrale e certi ricorrenti echi fastidiosi del passato intralciano gratuitamente la marcia dell’Italia, non solo quella del suo partito.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.