Opinioni

La sentenza Levante e il giudizio negativo sulla città che sferza i piacentini

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Sentenza Levante: le motivazioni del giudice Fiammetta Modica, appena depositate, non si limitano a ricostruire la vicenda dal punto di vista dell’accertamento penale, ma aggiungono considerazioni sociologiche sull’intero mondo piacentino che hanno colpito la città.

Prima di analizzare questi aspetti della sentenza Levante, devo fare una premessa. Non sono un sociologo. Per vocazione professionale però leggo da oltre quarant’anni sentenze col fine di trovarne l’errore per sostenere l’impugnazione. Ovvio che per criticare una sentenza è indispensabile avere ben presente tutti i documenti, i verbali, le intercettazioni, perché una sentenza ben difficilmente si contraddice da sola; ma spesso erra quando non tiene conto di elementi probatori importanti, dimentica di precisare perché non si è ritenuto di seguire una strada ma un’altra o non motiva a sufficienza la sua decisione.

Nello scrivere una sentenza – lo prevede la Costituzione ma ancor di più l’esperienza fondante della Rivoluzione Francese e dei Lumi – i nostri giudici devono dimostrare il percorso logico–giuridico che li ha condotti a quel convincimento. È indispensabile, perché è l’unico modo che ha la difesa per poterla impugnare.

Il giudizio su Piacenza

Naturalmente non è il nostro caso: non conosco gli atti del processo Levante. E non ho neppure letto per intero la sentenza che dicono essere di circa 500 pagine. Mi ha solo colpito la parte cosiddetta sociologica della stessa, ove si dice: “Per la verità, i fatti accertati in questa sede non restano un fatto isolato nella storia della città di Piacenza, nel recente passato altri episodi inquietanti sono stati portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria, facendo emergere un preoccupante sistema di illegalità connaturato con il potere, basti pensare all’indagine che coinvolse nel corso del 2013 la sezione narcotici della Squadra Mobile della polizia di Stato per condotte per certi versi simili a quelle oggetto della presente indagine che conducevano a pesanti condanne ormai definitive (l’ispettore di PS Attanasio, riportava una condanna a 20 anni di reclusione in primo grado, poi modificata in anni 15 dalla Corte di Appello di Bologna) e, da ultimo al processo a carico dell’ex Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe Caruso celebratosi nel 2021, imputato per diversi reati associativi di stampo mafioso, condannato in primo grado gal Gup di Bologna (con sentenza non definitiva), nell’ambito dell’indagine Grimilde alla pena di venti anni di reclusione.
Una città dalle tante facce, spesso vischiosa nei rapporti di potere, con una ricchezza diffusa, un’austera alacrità e un perbenismo imperante talvolta con radicate connessioni con il contesto criminale sommerso legato al mercato degli stupefacenti, della prostituzione e, ma non in ultimo, alla corruzione.
In questo ‘mondo di mezzo’ si trovava la Caserma Levante, apparente presidio di legalità ma prossima al sottobosco degli informatori e degli spacciatori di stupefacenti in una contiguità, degenerata in osmosi”.

Legami e considerazioni

Come abbiamo visto il giudice elenca altri due procedimenti penali: quello del 2013, che ha riguardato la sezione narcotici della Questura di Piacenza e il processo Caruso. Non afferma che tra i tre episodi – Levante, Questura, Caruso – ci sia un legame, anche perché un legame sarebbe molto difficile da dimostrare e a mio parere non c’è affatto.

Tuttavia, da tale elencazione fa discendere alcune considerazioni: “Una città dalle tante facce”, cioè una città formata da persone oneste e farabutti. Concetto poi ribadito poco dopo: “Con una ricchezza diffusa, un’austera alacrità e un perbenismo imperante”; dopo di che, aggiunge: “Talvolta con radicate connessioni con il contesto criminale sommerso legato al mercato degli stupefacenti, della prostituzione e della corruzione”.

Che cosa vuol dire? Io lo interpreto così: a Piacenza c’è una classe borghese e perbenista che “ha radicate connessioni col mondo criminale”. Però si aggiunge “talvolta”. Nel senso che in alcuni casi (“talvolta”) il mondo perbene si mescola o sfrutta o si fa sfruttare dal mondo criminale.

Città a confronto

Certamente la dottoressa Modica, che pure è a Piacenza da pochi anni, nel suo ruolo prima di giudice penale, poi di giudice per l’indagine preliminare (Gip) e/o di giudice dell’udienza preliminare (Gup), ha potuto esaminare in profondità il mondo criminale piacentino e vederne i contatti con pezzi della borghesia “insospettabile”.

Nessuno nega che questi rapporti ci siano, per carità. Non credo però che siano peculiari di Piacenza; né che questi rapporti indichino Piacenza come una città con una maggior propensione criminale rispetto a Cremona, Lodi o Parma. Se poi allarghiamo la visuale su Reggio Emilia (processo AEmilia) e dintorni (vedi Brescello), potremmo addirittura dire che siamo un’isola felice.

Crimine e fisiologia

Che ci siano criminali e organizzazioni che si possano definire tali, nel senso di persone o gruppi di persone che vivono dei frutti della commissione di reati, è un’ovvietà. Che i criminali abbiano rapporti con le forze dell’ordine è altrettanto ovvio, fisiologico. Si chiamano “informatori” e non se ne può fare a meno. In più, va detto che la dottoressa Modica non ha aggiunto al suo elenco un’altra vicenda, precedente a quelle descritte, che riguardava dipendenti della Procura e dell’Agenzia delle Entrate che erano legati da un’altra combutta criminale.

Va ribadito, però, che tutte queste vicende si sono conosciute proprio perché la Procura e le forze dell’ordine hanno saputo tagliare anche nella loro stessa carne viva. Quando era scoppiato il caso della Procura, un giudice mi aveva confessato con estremo disappunto: “Per loro avrei messo la mano sul fuoco… e me la sarei bruciata!”.

Il potere degli anticorpi

Sono altre due frasi della sentenza che invece mi danno da pensare, quando parla di “un preoccupante sistema di illegalità connaturato con il potere”; e di una città “spesso vischiosa nei rapporti di potere”.

Connaturato, dice la Treccani, è ciò “che fa intimamente parte della natura stessa di una persona, congenito, innato, insito, naturale, radicato”. Il che significa che non si può estirpare. Ma che è una caratteristica comune a qualunque città, grande o piccola che sia. Vischiosa significa più o meno lo stesso: il potere è rappresentato dal denaro, dalla politica, dalla chiesa, dalla stessa magistratura. Che per fortuna ha dimostrato proprio in questi anni che non ci sono santuari inviolabili; che nessuno, neppure i funzionari della Procura, neppure i poliziotti o i carabinieri, coloro che collaborano ogni giorno con i magistrati, sono inviolabili.

Secondo me l’esempio della Levante, invece, dice proprio a chiare lettere che anche a Piacenza abbiamo al nostro interno gli anticorpi per debellare le storture. Magari non immediatamente, magari non sempre, ma nessuno può delinquere sentendosi al sicuro appunto per sempre.

 Comune parte civile: sì o no?

Infine due parole sul comunicato dello schieramento di centrosinistra all’opposizione in Consiglio comunale, Alternativa per Piacenza (che somiglia molto ad Alternative für Deutschland, io gli cambierei nome). Nel commentare la sentenza Levante, ApP lamenta la mancata costituzione del Comune come parte civile nel processo: “Incomprensibile la scelta di voltarsi dall’altra parte ritenendo la città estranea”. Aggiungendo che, al contrario, l’Arma dei Carabinieri ha deciso di costituirsi parte civile.

Per la costituzione in qualità di parte civile (ricordiamo che solo il giudice può ammetterla anche in caso di danno morale o d’immagine) bisognava che l’Amministrazione comunale riconoscesse che la vicenda Levante – col suo clamore nazionale, la caserma sotto sequestro, l’arresto dei vertici della struttura – aveva provocato un danno alla città.

La scelta di non costituirsi può essere opinabile, può essere anche sintomo di miopia politica. Ma certamente non può immaginarsi che tra la caserma Levante e il Comune ci fossero contiguità “vischiose”; motivo per cui, probabilmente, la Giunta del sindaco Patrizia Barbieri ha deciso di tenere questo (opinabile ma legittimo) comportamento.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

2 Commenti

  1. Analisi condivisibile e ragionevole. Il magistrato avrebbe dovuto pensarci due volte prima di esprimere un giudizio così pesante, personale perché non supportato da prove oggettive, e prono alla strumentalizzazione da parte degli avversari politici del sindaco (cosa puntualmente avvenuta, Pavolv docet).

  2. Mi dispiace dott. Solari, la sua è una visione errata. Il problema è che a Piacenza gli anticorpi non ci sono affatto. L’inchiesta alla Levante, il processo grimilde che ha convolto il presidente del consiglio comunale di Piacenza ecc. sono tutte partite da tribunali e denunce di altre città. Chi vive a Piacenza sa benissimo qual è il carattere dei piacentini e quanto siano mentalmente mafiosi. Tutto il resto sono giudizi che non hanno motivo di esistere. Il non futuro della nostra città metterà in evidenza quanto io ho scritto.

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