Mario Draghi per la prima volta in Senato. E stamattina Supermario (ma a lui non piace essere chiamato così) ha stupito tutti. Un arido banchiere, cresciuto tra Banca d’Italia, Goldman Sachs e Bce, che dichiara: “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”; e “La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione; di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito; e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create”. Un Mario Draghi green e ecosostenibile non lo avremmo proprio mai immaginato.
Da Cavour a Papa Francesco
All’inizio il neo presidente del Consiglio rivolge un pensiero alla pandemia (“il virus è nemico di tutti”) e alla difficile situazione economica e sociale.
Draghi parla per quasi un’ora, citando Cavour – “le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano” – e Papa Francesco – “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”.
Le riforme in cantiere
Ma, soprattutto, il premier parla di riforme. Evoca espressamente una riforma fiscale, affermando che l’ultima riforma organica risale a Visentini, cinquant’anni fa. Parla di semplificazione unita alla progressività sancita dalla Costituzione. Evoca una riforma della giustizia civile – sulla scorta delle richieste della Commissione europea – che non è più rinviabile. Glissa sulla giustizia penale, e in effetti non si poteva pretendere che sciogliesse tutti i nodi presenti sul suo tavolo.
Tuttavia, e questa ci pare la vera novità, parla compiutamente di una riforma della pubblica amministrazione, cui pure riconosce di aver lavorato ai limiti del possibile durante la pandemia: “Particolarmente urgente è lo smaltimento dell’arretrato accumulato durante la pandemia. Agli uffici verrà chiesto di predisporre un piano di smaltimento dell’arretrato e comunicarlo ai cittadini”.
E come l’immagina? “La riforma dovrà muoversi su due direttive: investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini; aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati”.
L’euro è irreversibile
Nei 53 minuti del suo discorso (interrotto da 21 applausi, da parte di quasi tutta l’assemblea) lancia un messaggio a Salvini: “Sostenere questo Governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro; significa condividere la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione”. E delinea un’Europa molto diversa da quella che è stata fino alla pandemia.
Al bastone aggiunge la carota dicendo: “Ma occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro”.
Un new deal?
La parte più rilevante del discorso, a nostro parere, è questa: “L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro. Ma soprattutto grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti. Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze politiche ideologicamente lontane se non contrapposte. Sono certo che anche a questa Nuova Ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto. Questa è la nostra missione di italiani: consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti”.
L’orgoglio nazionale
Allora, è nella natura delle cose che il discorso programmatico di insediamento di ogni Governo sia una raccolta di buone intenzioni. Pochi discorsi per la fiducia – a nostra memoria – hanno compreso tanti problemi e dato tante linee di soluzioni. Ma nessuno ha parlato così di orgoglio nazionale: “Siamo una grande potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano”.
Bravo, professor Draghi. Non ha dimenticato le donne, i nostri figli, il Sud, il turismo. Nel suo libro dei sogni nessuno resterebbe indietro. E ciò è tanto più stupefacente se si considera che il suo Governo mieterà tra oggi e domani una impressionante messe di voti favorevoli, se si considera che le sue promesse non sono promesse da politico (nel senso deteriore del termine) ma da tecnico. Il suo è stato un discorso da Statista, nel quale abbiamo sentito degli accenti da De Gasperi, noi, abituati a sentire ben altre voci.
Speriamo solo che non rimangano vuote parole, ma che possano tradursi in riforme concrete. Se non ce la facciamo con lei, non ce la faremo più con nessun altro.
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.
Tutto giusto, condivido l’analisi e le speranze. Sono d’accordo con tutto, tranne che per la frase finale, un concetto che ho letto un po’ dappertutto in questi giorni: se non ce la facciamo con Draghi, siamo spacciati. Non avremo più altre occasioni.
E invece ne avremo: la storia d’Italia non comincia e finisce con Supermario. Tanto più con un Governo anatra zoppa (e zeppa di ministri reduci dal Conte bis).
Un grande democrazia, un grande Paese, non nasce con questo esecutivo arlecchino, con molte pezze rosse e gialle. Nasce prima di tutto dalla volontà popolare, dalla reale rappresentatività. E di questo né gli entusiasti del draghetto, né i due pezzi di (ex) opposizione che gli si sono accodati sembrano essere veramente consapevoli.